Riflettendo sui fatti di Parigi il teologo Vito Mancuso ha colto l’occasione per prendere alcune distanze dal retaggio illuminista. I precetti di tale retaggio -diciamo noi-non possono essere nostri, visto che fomentarono quell’esplosione di ferocia che fu il Grande Terrore. In quei mesi, secondo Mancuso, morirono sul patibolo 200 persone al giorno. In confronto i ‘vendicatori di Maometto’ risultano misericordiosi…
Per verificare i conteggi del prof. Mancuso andrebbe assodato che si intende per Grande Terrore. “Per vari mesi, recita un manuale di storia, è tutto uno sfilare di carrette di condannati. Il Terrore provocò in Francia 16.600 vittime; gli arrestati furono mezzo milione. 2625 ghigliottinati nella sola Parigi. A Nantes i noyades (annegamenti) del convenzionale Carrier fecero da duemila a tremila morti; altrettanti le ‘colonne infernali’ di Turreau in Vandea; altrettanti una commissione di censimento ad Anger”.
Dopo l’estate di vittorie militari nel 1794 ci si attendeva che il Terrore avesse fine. Invece le lotte all’interno del regime rivoluzionario fecero andare al massimo le ghigliottine. Nella mitologia repubblicana la Francia era diventata la patria della tolleranza e della fraternità. Invece la menoma discordanza di linea rispetto ai momentanei detentori di potere determinava la morte: trionfava il perfetto contrario della libertà e della democrazia richiamantesi all’Illuminismo.
Tutti sanno che la Terreur mise a morte la maggior parte dei distruttori dell’Ancien Régime. Il triumviro Robespierre, pontefice della religione dell’Essere supremo e temporaneo conduttore del gioco politico, fu con Saint Just tra i ghigliottinati di due giorni dopo la svolta dell’8 Termidoro. Seguirono l’11 Termidoro altri settantuno decapitati, dodici il giorno successivo. Tra il settembre 1793 e la caduta di Robespierre
(27 luglio 1794) furono ghigliottinati, in genere coi loro seguaci, grandi capi come Hébert, Desmoulins, Couthon (che era un paralitico), Vergniaud, Danton (sua moglie pochi giorni dopo); nonché, assieme a molti qui omessi, il Carrier degli annegamenti a Nantes.
Si usa dire, con qualche sbavatura maccheronica, che le conquiste della Più gloriosa delle rivoluzioni furono anche conquiste dell’Illuminismo. Però quelle conquiste generarono l’estremizzazione mostruosa dello scontro politico. Non per niente in altri tempi si chiamarono “Terroristi” i protagonisti della fase del Terrore. Il terrorismo dei nostri giorni è ovviamente cosa affatto diversa dal condurre una fase rivoluzionaria secondo scelte anche le più aspre. Ma le ferocie compiute prima del sopravvento di Bonaparte non furono mai moralmente superiori ai metodi dell’estremismo islamico.
Per i cantori della Democrazia, sia quella liberal-capitalista sia quella progressista, l’ultimo decennio del Secolo dei Lumi fu un tempo aurorale, un Avvento, la matrice di un’umanità migliore. Invece fu una stagione spietata, di cui nessuno meni vanto.
Tutta l’intelligenza di un’età aperta da Cartesio non seppe inventare congegni dialettici migliori degli arnesi del boia: la carretta per il patibolo, l’infallibile lama, la cesta in cui rotolavano le teste. Pochi morituri ebbero la sprezzatura elegante di Danton: “Mostra al popolo la mia testa -disse al boia salendo gli scalini- ne vale la pena”.
Nei giorni del trionfalismo républicain –i milioni di patrioti che cantavano la Marsigliese, la vacua solidarietà dei governanti invitati, l’Occidente quasi tutto Charlie (a chiacchiere), l’apoteosi della Libertà intera, Parigi capitale del mondo, finalmente qualcosa per cui lottare- il maremoto delle fandonie è stato devastante. Solo il Maggio ’68 produsse un’orgia di non-sense pari all’attuale.
Repubblica, capofila del consumismo demoplutocratico, non ha esitato a scrivere a tutta pagina l’esilarante titolo “La rivolta di Parigi: Libertà”: quasi la capitale diciamo così ‘del mondo’ si fosse ribellata a re Carlo X, anzi a Napoleone guerrafondaio e distruttore di propri eserciti.
“La Francia si è risvegliata” ha scoperto un esclamativo giornalista del Corriere. “Ha ritrovato unità, passione civile, orgoglio. Ha messo nell’angolo i profeti di sventura, i teorici del declino, i predicatori dell’oscurantismo (…) I francesi, su questo terreno, sono davvero unici e impareggiabili”. Nella foga, detto giornalista si è persino permesso lo svarione di menzionare quel “No pasaran di un’attualissima linea Maginot”; ignaro che il No Pasaran fu uno slogan madrileno della guerra civile spagnola e non c’entrava con la possente linea Maginot. Quest’ultima si rivelò perfettamente inutile, e restò simbolo di disfatta (la Wehrmacht passò!).
Presto -tempo i prossimi mesi- si confermerà che le ubriacature di retorica patriottica e politicastra portano male. Le menzogne nazionaliste apparvero funzionare nel 1914, ma costarono un milione e mezzo di morti francesi e dilazionarono di poco la fine della grandezza continentale della Francia. L’epopea antifascista del terribile Front Populaire durò pochi mesi. I gridi di battaglia del Maggio 68 sono finiti in chissà quale sciocchezzaio o meglio dump-ground della storia.
A.M.C.