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Sbagliano i Proci delle urne a non ricordare l’arco spietato di Ulisse

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Le elezioni, nel nostro come in numerosi altri paesi, non sono irrilevanti e basta. Sono anche nocive all’estremo. Legittimano, dunque perpetuano, regimi perniciosi, perniciosi più o meno della clepto-partitocrazia italiana. A Itaca i Proci banchettavano sulle carni e sui vini di Ulisse assente e dato per morto;  in più, importunavano Penelope.  Da Ulisse ritornato ebbero ciò che meritavano, lo sterminio. Se i Proci di casa nostra si sentono al sicuro dall’arco del Re terribile, è soprattutto per le elezioni che li confermano e rafforzano: finché non sorga un Ulisside vendicatore.  Nei millenni è capitato molte volte che un uomo con più tempra degli altri si faccia giustiziere. Potrebbe capitare ancora.

Dunque le elezioni vengono indette per frodare i cittadini remissivi. Un giorno dovranno servire per individuare un manipolo di audaci che credibilmente aboliscano le elezioni e le sostituiscano con il sorteggio: non tra tutti gli iscritti all’anagrafe, bensì tra mezzo milione di ‘supercittadini’, a loro volta scelti dal sorteggio in quanto più qualificati della media.

Nei sistemi di più vecchia infezione elettorale-parlamentare (Regno Unito compreso) vari secoli di battaglie nelle urne non hanno scongiurato la necrosi della democrazia intesa come potere del popolo. Il potere è posseduto dall’oligarchia dei professionisti della politica. In un paese come il nostro la frode elettorale ha cominciato ad agire molto tardi e, all’inizio, coinvolgendo masse esigue. Da quando il suffragio è diventato universale, la consorteria dei truffatori partitici ha visto ingigantite le occasioni di plagiare il popolo e di rapinare la ricchezza pubblica. Non c’è contesto nazionale nel quale i tentativi di bonifica della politica siano riusciti in misura accettabile.

L’Italia è un caso limite. I partiti si sono impadroniti di tutto nel 1945. Settantatré anni dopo nessuna istituzione,  nessuna realtà si è liberata della loro occupazione. Sono falliti e falliranno tutti gli sforzi di riforma: é abortito persino il conato di eliminare un’assemblea velenosa come il Senato, nonché il più pretenzioso degli enti inutili, quel CNEL la cui ragion d’essere è solo di arricchire i vitalizi di politici scartati e di sindacalisti bricconi. L’omertà che compatta la casta politica fa cadere ogni iniziativa di risanamento. Naufragati i propositi di Matteo Renzi, arcangelo cui sono cadute le ali, non si parla più di grosse riforme.

E le invocazioni degli opinionisti di successo contano zero. P. es. Aldo Cazzullo ha riesumato una sfortunata campagna del Corriere della Sera – “fare del Quirinale il Louvre che l’Italia non ha; trasferire la presidenza della repubblica in una non-reggia”-  ma lo ha fatto con voce così flebile e senza speranza da fare felici quanti ingrassano sullo sfarzo della reggia pontificia-sabauda. Alla repubblica nata sugli eroismi e sugli assassinii dei partigiani, la virtuosa semplicità repubblicana non interessa.

I politici, tutti omertosi, non vorranno mai il cambiamento: ridurrebbe il loro malaffare. Il cambiamento esigerebbe la volontà rivoluzionaria di abbattere buona parte delle Istituzioni. Il giorno che il popolo dello Stivale decidesse di imboccare tutt’altra strada, le elezioni non si farebbero più per preservare il sistema e selezionarne i Proci gestori, bensì per cancellare il sistema. I cittadini, finalmente scopertisi sovrani, darebbero a un manipolo di Draconi il mandato irrevocabile di sospendere con le brusche la Costituzione, la Corte costituzionale, le Camere  delinquenziali, ogni altro organismo dell’usurpazione. Con le destituzioni andrebbero decimati i servitori infedeli dello Stato e i pagatori di tangenti. Insomma i Draconi abbatterebbero il regime, cancellerebbero i partiti, abolirebbero la professione di politico, sradicherebbero parte della corruzione.

Tutto ciò non avverrà mai nella legalità. La legalità è la corazza del Regime. Nella legalità l’inerzia del sistema è invincibile.  Eppure il mandato draconiano a uno o più “chirurghi di ferro” – così lo spagnolo Joaquin Costa chiamava i rigeneratori che salvassero la sua patria –  sarebbe la sola alternativa legale al sovvertimento attraverso i carri armati del Putsch militare. Sarebbe dare finalmente un senso al congegno delle elezioni, che oggi gira a favore dei Proci ladri.

Nei momenti di pericolo la repubblica romana antica sospendeva tutte le magistrature e affidava la salvezza della repubblica a un Dictator a termine. Un giorno un pugno di eversori voluti dal popolo sarebbe il Dictator collettivo, unico fattore di rigenerazione. Per gli zelatori delle Istituzioni, per gli invasati della Carta, tutto ciò è blasfemo, è estremismo da Web. Ma tali zelatori sono altrettanto ciechi quanto lo fu l’Ancien Régime quando incombevano le ferocie del 1789 di Francia.

Antonio Massimo Calderazzi


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